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Cuore Vs Cervello? Parliamo di Emozioni.

  • Immagine del redattore: Carmelinda Campilongo
    Carmelinda Campilongo
  • 26 gen 2020
  • Tempo di lettura: 8 min

Aggiornamento: 27 gen 2020

E' opinione comune che le emozioni si presentino come uno stato caotico e irrazionale, tant'è che nell'immaginario collettivo cuore (immagine sociale che sta per sentimento-cui è connessa la sfera emotiva) e cervello (razionalità) vengono visti in perenne contrapposizione:

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ma è davvero così?

La letteratura definisce l'espressione manifesta delle emozioni come delle esperienze soggettive complesse composte da elementi cognitivi, che consentono la valutazione dello stimolo; da un’attivazione fisiologica che predispone l’organismo ad affrontare la situazione; una componente espressiva che ne modula l’esibizione, e una comportamentale, responsabile della reazione osservabile dell’individuo. Al contrario di quanto ritenuto valido dal senso comune, l’emozione non presenta carattere caotico, irrazionale e imprevedibile ma esplica una funzione adattiva, in quanto rappresenta una risposta immediata alle sollecitazioni provenienti dall'ambiente esterno. Secondo le teorie cognitive, infatti, si configura come un processo che presenta a monte una valutazione e un monitoraggio dell’azione a carico del sistema limbico e coinvolgerebbe in misura maggiore l’amigdala, responsabile del collegamento tra gli stimoli esterni e le risposte difensive. Attualmente è opinione diffusa che non esista un vero e proprio “cervello emozionale”, ma che piuttosto diversi circuiti neuronali siano responsabili dell’elaborazione di diverse emozioni, seppur in modo coordinato (LeDoux, 2003). Alle origini di tale concetto diversi sono stati gli interrogativi cui gli studiosi hanno cercato di dare risposta: innanzitutto si chiesero in che luogo (fisico o mentale) si manifestassero. Il dibattito scaturito a cavallo tra l'800 e il '900 diede vita a diverse teorie consultabili nella sezione approfondimenti, ma le ipotesi più recenti propongono una visione più integrativa. In un recente studio Nummenmaa et al. (2014) si sono proposti di mappare le regioni corporee associate a diverse attivazioni emozionali tramite l'ausilio di materiale audio/video in 701 soggetti culturalmente eterogenei. I risultati sono osservabili nell'immagine che segue.

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Risulta evidente la presenza di un'attivazione topograficamente analoga a livello interculturale. Le emozioni sarebbero dunque il prodotto di un complesso processo che coinvolgerebbe tre livelli in simultanea: il corpo, la mente e l'ambiente circostante, tale che non sarebbe possibile individuare un'unica fonte. A tal proposito tra i primi a mostrare interesse alle variabili cross-culturali del comportamento non verbale e delle espressioni facciali fu Paul Ekman, il quale studiò tali elementi in una remota tribù situata in Papua Nuova Guinea, il popolo dei Fore (1966/67).

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Tale ricerca fu di ispirazione a un noto esperimento di tipo interculturale (1972): 6 fotografie associate a 6 differenti espressioni emotive (felicità, sorpresa, disgusto, rabbia, paura, tristezza) furono sottoposte all'analisi di 21 gruppi di persone provenienti da diverse regioni del globo (di cui solo 11 occidentali). I risultati mostrarono come in tutti gli stati i soggetti avevano associato analogamente Felicità, Tristezza e Disgusto ed erano in maggioranza d’accordo per le altre emozioni, documentando così l'universalità delle emozioni (Teoria Neoculturale).

Quelle sopra menzionate sono le emozioni di cui siamo intrisi fin dal primo giorno in cui apriamo gli occhi alla finestra del mondo, quelle che centinaia di migliaia di anni di evoluzione ci restituiscono sotto forma di patrimonio genetico; tutte le altre non sono che il prodotto del modo in cui storicamente abbiamo affrontato gli eventi significativi della nostra vita – oltre che del modello relazionale che affonda le radici nelle primissime interazioni madre-bambino (Cassidy, 1999).

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Fu proprio J. Bowlby a interessarsi al flusso di scambi emotivi tra il bambino e la figura di accudimento, ponendolo come punto 0 della vita emotiva e relazionale dell’adulto che si appresta a diventare: secondo l’autore la qualità delle interazioni precoci tra queste due figure si presterà da fondamento per lo sviluppo di diversi pattern di attaccamento. Tali concetti si sono posti da base inspiratoria ad altri filoni di ricerca, come l’Infant Research di Palo Alto, o da link diretto ad altre teorie, come la Teoria della Mente (si rimanda ad approfondimenti successivi sul tema). Lo stile interattivo primario, registrato nella memoria procedurale, si esprimerebbe neuro-biologicamente sotto forma di connessioni neurali preferenziali, dando così vita a un pattern relazionale (o ad uno specifico modo di simbolizzare il mondo) che risulta dunque automatizzato, fuori dallo stato di coscienza - come direbbero i dinamici, o implicito secondo i cognitivisti (inconscio cognitivo).


Sotto questo punto di vista cuore e mente sarebbero dunque in contrapposizione qualora si verificasse un mancato adattamento tra lo stile relazionale di una persona - espresso dalla specifica modalità di dare significato al mondo - e la richiesta dell'ambiente. In altre parole, quando ciò che in maniera automatizzata ricerchiamo e ci aspettiamo (cuore) non trova soddisfacimento nell'ambiente, al punto di riconsiderare la centralità del "cuore" come fonte decisionale automatica, il che dunque ci porta a chiederci: cuore o cervello? (attivando un processo di razionalizzazione).

Da un punto di vista psicodinamico le emozioni risiederebbero nel substrato inconscio del nostro mondo interno: quasi mai immediatamente accessibili nella loro origine, richiederebbero uno sforzo riflessivo reso possibile dalla sospensione dell’agito, ma risulterebbero "sporcati" dei desideri/bisogni rielaborati nel corso del tempo.

Se per Freud l’inconscio è sostanzialmente uno spazio reso inaccessibile da censure e conflitti, secondo Matte Blanco – sovrapponibile in un certo senso all'emozione - si pone come struttura fondante il pensiero. Blanco spazza via la contrapposizione tra emozione e ragione, rendendoli due facce della stessa medaglia: il funzionamento mentale. Secondo l’autore il funzionamento mentale sarebbe costituito da due sistemi in interazione imprescindibile: l’inconscio che funziona da substrato simmetrico, in cui non esiste differenziazione tra gli oggetti (A=B=C ecc); e il pensiero comunemente inteso che consiste nella capacità di categorizzazione, e presenta dunque un funzionamento asimmetrico (A≠B≠C ecc). Blanco sostiene che la capacità razionale data dalla differenziazione della realtà in comparti di categorie è resa possibile proprio grazie al funzionamento omogeneo e simmetrico dell'inconscio.

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L’equipaggiamento emotivo di cui sopra (Ekman, 1994) ci aiuta dunque a orientarci nel mondo, ed è oggetto di autoregolazione data dalla capacità di identificare e modulare i propri stati interni così da essere consapevoli dei propri agiti, e appresa già a partire dalle prime settimane di vita in cui si strutturano sotto forma di difese primordiali (Paradigma dello still face in approfondimenti per maggiori dettagli). Ma cosa succede se andiamo incontro a disregolazione, se cioè non siamo in grado di modulare uno stato emotivo?

Come conseguenza diretta questo genererà uno stato ansiogeno che si presterà ad essere attivatore di difese. Esistono meccanismi di difesa più o meno funzionali e adattivi classificati da diversi autori (Vaillant & Perry; Fornari) cui si rimanda ad approfondimenti in altra sede. Per ora ci basti sapere che il livello di adattività è strettamente correlato alla presenza o meno dell’esame di realtà: se, cioè, nel tentativo di difenderci dallo stato emotivo ansiogeno, siamo o meno in grado di non snaturare il substrato di realtà che lo ha generato. Il tema delle emozioni è molto complesso, stratificato, e strettamente connesso ad una serie di altri fenomeni: si rimanda ad altri elaborati al fine di darne una più completa visione, approfondendo i link ad essa connessi.


Ma cosa succede se non siamo in grado di riconoscere ed elaborare il nostro stato emotivo?



L’Alessitimia: un approfondimento


Quanto appena detto lascia spazio all'immaginazione sull'universo che si cela dietro al concetto di emozione, basti pensare che per giungere alle sue radici, per capire perché una cosa “emoziona” così tanto una persona e non un’altra, sia necessario scorrere indietro di anni, fino al nostro accesso al mondo. Nell'articolo sull’Intelligenza, e a proposito di quella Emotiva, si è fatto inoltre riferimento all'importanza di riconoscere e monitorare i propri stati emotivi allo scopo di mantenere un rapporto adattivo con l’ambiente circostante. Nell’Alessitimia questa capacità risulta compromessa: le persone con questa particolare condizione, seppur perfettamente in grado di sentire un’emozione, non riescono però a nominarla e a ricondurre manifestazioni fisiche a cause di natura emotiva. In un caso descritto da Goleman (2011), ad esempio, una sua paziente alessitimica piange dopo esser venuta a conoscenza di una donna morta di cancro; sua madre era morta di cancro qualche anno prima, ma la paziente non riusciva a ricondurre questo evento al suo stato emotivo.

Come appare dunque una persona alessitimica?


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Appare concreta, equipaggiata di un mondo interno povero e una scarsa propensione all'immaginazione. L’Alessitimia può essere classificata come un disturbo della regolazione affettiva (vd. sopra, in questo articolo), dato da una marcata difficoltà a identificare le proprie emozioni e connesso dunque ad una scarsa capacità empatica, traducibile come quella capacità di riconoscere gli stati emotivi altrui.

La mancata individuazione ed elaborazione degli stati negativi - costitutiva degli alessitimici, ma possibile in chiunque incontri difficoltà a prestare l'orecchio al proprio mondo interno (Intelligenza emotiva) - può essere facilmente oggetto di somatizzazione. Ennesima esemplificazione di quanto mente e corpo siano nei fatti un'unica cosa, la somatizzazione consiste nell'indirizzamento fisico di una sofferenza psichica non elaborata, non vista: un mal di testa persistente che sopravvive alle cure mediche, un mal di stomaco, il dolore alla cervicale sono solo tra i più diffusi, e richiederebbero il ricorso ad uno psicologo.

Ma torniamo all'Alessitimia. Chi presenta tale condizione, dunque, non solo non riesce a identificare i propri stati emotivi, ma ha difficoltà a percepire anche quelli degli altri. A tal proposito, nell'articolo sull’Intelligenza sono stati illustrati due modelli di spiegazione, uno neurobiologico (Sifneos, 2000) e uno connesso allo stile anaffettivo di cura (Pace et al., 2015). In merito a quest’ultimo, Fonagy (2018) parla di mentalizzazione come di quella competenza metacognitiva da cui derivano sia una buona capacità auto-regolativa, sia quella di comprendere gli stati emotivi altrui, connesse a loro volta, alla funzione riflessiva materna, data dalla capacità della madre di trattare il bambino come un agente psicologico: un soggetto dotato di una mente. È lecito dunque ritenere che una carenza in tale ambito nelle cure materne potrebbe riflettersi su una difficoltà a regolare e a riconoscere i propri stati emotivi da adulto, che si traduce, di conseguenza, in una difficoltà a leggere quelli degli altri.

L’unico modo per conoscere la propria realtà interna è attraverso la scoperta e il riconoscimento del proprio Sé negli occhi dell’Altro. Peter Fonagy

Approfondimenti - Teoria Periferica di James-Lange (1884): l’esperienza emozionale verrebbe processata dapprima nel corpo, il quale in un secondo momento attiverebbe uno stimolo emotigeno che solo infine riceverebbe una valutazione cognitiva. A questa concezione si contrappone la Teoria Centrale di Cannon & Bard (1927), secondo cui il corpo avrebbe tempi di risposta troppo lunghi e indifferenziati per proporsi come centro di processamento delle emozioni, le quali verrebbero invece elaborate nelle regioni talamiche e ipotalamiche del SN (Sistema Nervoso). Schachter&Singer (1967) proposero la Teoria cognitivo-attivazionale che fa da sintesi alle precedenti, secondo cui l’emozione risulterebbe dall’interazione tra le due componenti (fisiologica e psicologica); tale interazione non comporta però l'attivazione immediata di uno stato emotivo, possibile solo in seguito ad un etichettamento dell’esperienza emotiva prodotto da un’elaborazione cognitiva dello stesso, un’attribuzione causale. - Paul Ekman, Esperimento_ le espressioni sono risultate inoltre asimmetriche: le emozioni negative sono infatti responsabili di un’intensità maggiore nell’emifaccia sinistra, attribuibile alla dominanza dell’emisfero destro. L’esperimento ha dato inoltre importanza alle componenti culturali, poichè alcune società incoraggiano/scoraggiano l’espressione delle emozioni: i soggetti giapponesi, ad esempio, tendevano a controllare la propria espressione se associata a emozioni negative, in presenza di un connazionale.

-Paradigma dello Still Face, o del volto immobile (Weinberg & Tronick,1996)_ strumento di valutazione del legame madre-bambino, ha come premessa l’istintiva propensione alla relazione nel neonato. Esso si pone inoltre come spunto di riflessione per cogliere precocemente i meccanismi di autoregolazione. Consiste nell’esporre il bambino al volto inespressivo della madre; se il volto della madre rimane impassibile, il bambino come prima risposta intensificherà i suoi sforzi di coinvolgimento accentuando il sorriso e le vocalizzazioni, successivamente ricorrerà a meccanismi autoconsolatori volti a tollerare la frustrazione, come distogliere lo sguardo, o manipolare parti del corpo (succhiare il dito) o degli indumenti.

Bibliografia

-Dibattista, L. (2007). François Franck Against the James-Lange Theory. Medicina nei secoli, 19(2), 405-424.

-Ekman, P., Davidson, R. (Eds.) (1994). The Nature of Emotions. New York: Oxford University Press -S. Schachter, "The Interaction of Cognitive and Physiological Determinants of Emotional State", C. D. Spielberger Eds., Anxiety and Behavior, New York, Academic Press, pp. 193-224, 1966. -Fonagy, P. (2018). Affect regulation, mentalization and the development of the self. Routledge. - Nummenmaa, Lauri et al "Bodily maps of emotions." Proceedings of the National Academy of Sciences 111.2 (2014): 646-651. Web. 25 Jan. 2020.

-Goleman, D. (2011). Intelligenza emotiva. Bur.

-Biehl, M., Matsumoto, D., Ekman, P., Hearn, V., Heider, K., Kudoh, T., & Ton, V. (1997). Matsumoto and Ekman's Japanese and Caucasian Facial Expressions of Emotion (JACFEE): Reliability data and cross-national differences. Journal of Nonverbal behavior, 21(1), 3-21.

-Ekman, P., & Keltner, D. (1997). Universal facial expressions of emotion. Segerstrale U, P. Molnar P, eds. Nonverbal communication: Where nature meets culture, 27-46.

-LeDoux, J. Cell Mol Neurobiol (2003) 23: 727. https://doi.org/10.1023/A:1025048802629

-Berlin, L. J., & Cassidy, J. (1999). Relations among relationships: Contributions from attachment theory and research.

-Weinberg, M. K., & Tronick, E. Z. (1996). Infant affective reactions to the resumption of maternal interaction after the still‐face. Child development, 67(3), 905-914.

 
 
 

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