Intelligenza: un breve viaggio nella sua complessità
- Carmelinda Campilongo
- 20 gen 2020
- Tempo di lettura: 7 min
L'intelligenza comunemente intesa porta con sé una serie di imprecisioni e miscredenze: una persona poco intelligente viene infatti spesso confusa con una poco istruita, o poco informata, mentre che cosa sia l'intelligenza, e quali siano le sue funzioni sono domande a cui risulta difficile trovare una risposta esaudiente. Cos'è quindi l'intelligenza, e come nasce questo concetto? Tale rappresentazione ha subìto diverse variazioni nel corso dei decenni, muovendosi da contenuti statici, quantitativi e generici ad altri via via più dinamici e qualitativi. Ripercorrendone la storia, tra i primi a interessarsi fu Binet che nel 1905 realizzò un primo reattivo del concetto di intelligenza in ambito scolastico allo scopo di differenziare i bambini che avevano bisogno del sostegno. Per far questo realizzò una scala dell’età cronologica: il bambino con ritardo intellettivo era colui il quale non riusciva a risolvere i compiti in cui mediamente riuscivano i bambini della sua età. Nasce così il concetto di Quoziente Intellettivo (QI), dato dal rapporto tra età mentale e età cronologica, moltiplicato per 100 (EM/EC *100). Qualche anno più tardi Spearman (1923) individuò il cosiddetto fattore G: una sorta di capacità astratta, unica e misurabile tramite test di logica.
A partire da Thurstone si è successivamente passati da un concetto di intelligenza monofattoriale ad uno multifattoriale; si deve infatti a quest’autore l’individuazione di 7 intelligenze primarie, intese però come una specificazione del fattore G di Spearman, e aventi dunque carattere ancora esclusivamente logico.

Il primo a distanziarsi dai costrutti – diciamo riduzionisti - precedentemente menzionati, fu Guilford, al quale si deve la definizione della Teoria Multifattoriale. L’innovazione della sua teoria deriva dall’aver ipotizzato un funzionamento mentale che è altro rispetto alla semplice individuazione di abilità. Secondo l’autore il funzionamento intellettivo si dispiega attraverso una serie di operazioni diversificate, compiute su contenuti di vario genere che danno vita a specifici prodotti. Guilford pone inoltre un’ulteriore distinzione quanto mai, a mio parere, lungimirante: quella tra pensiero convergente e divergente: in quest’ottica l’intelligenza comunemente intesa rispecchierebbe il pensiero convergente, e cioè il ragionamento logico e razionale che consiste nell’applicazione meccanica di regole apprese, si adatta a problemi che richiedono un’unica soluzione e corrisponde al pensiero sollecitato dal nostro sistema scolastico. Il pensiero divergente, al contrario, è dato dallo sviluppo di quello che viene definito pensiero creativo, che è originale e adatto a tutte quelle problematiche che ammettono più soluzioni alternative, come i problemi sociali. Il merito di Guilford è dunque quello di aver introdotto un tipo di intelligenza basata non sulla semplice applicazione di conoscenze pre-apprese, ma sulla ricerca alternativa, flessibile e creativa.
Guilford ha fatto spazio ad una nuova concezione dell’intelligenza e a teorie via via più dinamiche, come quella di Cattel, che distingue l’intelligenza fluida da quella cristallizzata. Tale costrutto è così riassumibile: se l’intelligenza cristallizzata è costituita dalla mera applicazione delle conoscenze pregresse, l’intelligenza fluida compie un passo ulteriore, e risiede nella capacità di cogliere le connessioni esistenti tra gli elementi già appresi allo scopo di produrre nuova conoscenza.

A proposito di multifattorialità dell’intelligenza, degna di nota è La teoria delle sette intelligenze di Gardner, successivamente implementate a nove (maggiori info nella sezione approfondimenti). L’autore individua una serie di domini in cui è possibile o meno eccellere. Merito di Gardner è sicuramente quello di considerare tali intelligenze modificabili e assimilabili attraverso l’esperienza, e non statiche - sebbene in parte innate.
Attualmente le teorie maggiormente accreditate a proposito dell’Intelligenza e, più in generale, del funzionamento mentale, sono quelle relative al filone della Teoria della Mente (Theory of Mind-ToM). In particolare, secondo Fodor (1985) la mente sarebbe costituita da “moduli” facenti riferimento ad aree specifiche del cervello e caratterizzate da un funzionamento relativamente indipendente fra loro. Oggetto dell’attenzione della comunità scientifica oggi è l’Intelligenza Emotiva (Mayer, 1990), approfondita da Goleman, il quale negli anni ’90 la definisce come la capacità di identificare le proprie emozioni, comprendendole e gestendole allo scopo di rispondere in maniera più ottimale agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno. Per poter comprendere il potenziale di questo tipo di costrutto è necessario considerare che tali capacità sono fisiologicamente possibili grazie alla neocorteccia, la parte più evoluta del nostro cervello. Essa ci ha conferito la capacità di pensare, di provare emozioni, e la capacità di pensare riflessivamente ai nostri pensieri e alle nostre emozioni, nonché il potenziale del legame affettivo – nei rettili infatti, privi della neocorteccia, i piccoli appena nati devono nascondersi dalla madre che altrimenti li divorerebbe.

Autoconsapevolezza è il modo in cui Goleman si riferisce alla metacognizione, la capacità di riflettere sui propri pensieri - che diventa metaemozione se si considera la capacità di rappresentarsi le emozioni, di averne un monitoraggio attivo e funzionale (queste capacità attivano proprio la neocorteccia, e nello specifico le aree del linguaggio). Di questo ne parlava già Freud sotto il nome di “ego osservatore”, che designava invece l’automonitoraggio da parte dell’analista rispetto ai suoi stati mentali in risposta alle libere associazioni del paziente. Il controllo delle emozioni richiede un’energia non indifferente: molte delle nostre azioni, infatti, soprattutto quelle effettuate nel tempo libero, non sono altro che tentativi di controllare i nostri stati d’animo.
Esiste un particolare stato associato all’incapacità di nominare le emozioni: alessitimia è il nome con cui Peter Sifneos designò tale condizione. Chi ne soffre mostra difficoltà a nominare e a riconoscere le emozioni, ma nei fatti le vive come tutti gli altri. Possiede un vocabolario emozionale molto limitato, non è spesso in grado di discriminare tra emozioni e stati fisici, e non riesce a ricondurre delle manifestazioni fisiche a cause di natura emotiva. In definitiva gli alessitimici provano dei sentimenti, ma non riescono a capire di quale sentimento si tratti, e non riescono ad esprimerlo a parole. Due sono i modelli di spiegazione relativi a questa particolare condizione: secondo l'autore (2000) le cause sono da ricercare neurobiologicamente; nello specifico egli ritiene che consistano nell’interruzione delle connessioni fra il sistema limbico – il quale continua in effetti a funzionare come centro emotivo – e la neocorteccia, soprattutto a livello dei centri del linguaggio, il che spiegherebbe l’incapacità di verbalizzare le emozioni, e dunque di riconoscerle. A tal proposito, infatti, il linguaggio si configura come un potente mezzo di riconoscimento:
non avere parole per esprimere i propri sentimenti significa, nei fatti, non potersi appropriare di essi.

Il secondo modello di spiegazione afferisce alle ricerche effettuate su pazienti anoressiche e alessitimiche, secondo cui un ruolo rilevante sarebbe attribuito allo stile anaffettivo di cura, e dunque a quello di attaccamento (Pace et al., 2015).
L’emotività ha un ruolo importante persino nelle scelte di tutti i giorni: in quelle più importanti (come con chi intraprendere una relazione, se affittare un appartamento e quale, o acquistare una villa) come in quelle meno importanti, come ad es. fissare un appuntamento. In questo caso ad esempio, se lasciassimo la razionalità al comando, ogni orario porterebbe con sé dei pro e dei contro, mentre l’emotività garantisce la significatività ad una decisione, conferendole o meno priorità.
La capacità di dare ascolto al linguaggio delle emozioni viaggerebbe lungo un continuum che ne rappresenterebbe l’intensità, in base ad una sorta di predisposizione neurobiologica. In quest’ottica, coloro i quali sono più in sintonia con la propria autoconsapevolezza emotiva sarebbero anche maggiormente in grado di veicolarne i messaggi. Considerando inoltre che la vita emotiva ha luogo nell’inconscio, come già Freud affermava un secolo fa, una maggiore consapevolezza emotiva sarebbe connessa ad una più alta consapevolezza della vita inconscia.
L’intelligenza emotiva risulterebbe, così, connessa al benessere psicologico, mentre non si registrano correlazioni tra lo stesso e l’Intelligenza scolastica (QI).
Oggi l’impiego del QI sta infatti diventando sempre più obsoleto, proprio a causa dei limiti che il test presenta intrinsecamente e dell’evoluzione del concetto di intelligenza, il quale risulta più stratificato e complessificato.
Approfondimenti:
- Le sette intelligenze di Gardner: L’autore individua l’intelligenza linguistica, connessa alla capacità di utilizzare un vocabolario chiaro ed efficace – associata in genere a poeti e scrittori; quella logico-matematica, che riguarda il ragionamento deduttivo e le catene logiche, sviluppata ad esempio negli ingegneri o nei matematici; quella spaziale, connessa alla capacità di percepire forme e oggetti nello spazio – molto sviluppata nei pittori, architetti, ingegneri e chirurghi; l’intelligenza corporeo cinestetica, connessa ad un’ottima coordinazione dei movimenti e molto sviluppata nei ballerini, negli sportivi o negli artigiani; quella musicale che è la capacità di riconoscere l’altezza dei suoni, le costruzioni armoniche e la modulazione canora della propria voce, presente nei compositori o nei musicisti; l’intelligenza interpersonale, che riguarda la capacità di comprendere gli altri ed è molto sviluppata negli psicologi o negli imprenditori di successo; l’intelligenza intrapersonale, che consiste nella capacità di comprendersi, così da inserirsi in modo efficace all’interno del proprio contesto di appartenenza; quella naturalistica, che consiste nella capacità di identificare e classificare gli oggetti naturali, nonchè di coglierne le relazioni fra loro – tipica di biologi, astronomi e medici; infine, l’intelligenza esistenziale, ossia la capacità di riflettere sui grandi temi dell’esistenza utilizzando delle categorie astratte di interpretazione, è connessa a filosofi, psicologi e fisici.
- Teoria modulare di Fodor: Uno di questi moduli sarebbe interessato alla processazione della Teoria nella Mente, e sarebbe dunque in grado di separare le informazioni contestuali rilevanti da quelle irrilevanti, aumentando così una corretta inferenza degli stati mentali altrui.Tale capacità sarebbe da attribuirsi anzitutto alla corretta maturazione neurobiologica delle aree interessate, ma il suo utilizzo dipenderebbe anzitutto dall’esperienza. La teoria della mente è infatti connessa alla funzione riflessiva materna, data dalla capacità di interagire con il bambino come se questi fosse dotato di una mente, il che a sua volta porterebbe il bambino, diventato adulto, a riconoscere gli stati mentali altrui,e a comportarsi di conseguenza.
- Intelligenza emotiva – Classificazione di J. Mayer: Jhon Mayer, uno dei padri fondatori dell’intelligenza emotiva, effettua una classificazione degli individui in base al loro grado di consapevolezza sulle emozioni, la quale sembrerebbe inoltre avere una conseguenza diretta anche sul modo di far fronte a quelle negative:
· Gli autoconsapevoli – sono persone che ampiamente riflessive, il che si riflette su alcuni aspetti di personalità: godono infatti di una prospettiva positiva, e sono autonomi. La consapevolezza del proprio stato emotivo si riflette inoltre nella loro capacità di far fronte alle emozioni negative, le quali vengono dunque subito riconosciute e controllate.
· I sopraffatti - sono persone non pienamente consapevoli dei propri stati emotivi, non vi prestano attenzione e fanno ben poco per sfuggire agli stati negativi; spesso si sentono sopraffatti dalle emozioni e incapaci di controllarle.
· I rassegnati – caratterizzati da persone che spesso hanno una buona consapevolezza emotiva, ma tendono ad accettare i propri status, senza provare a modificarli. Un esempio pratico potrebbe essere costituito dai depressi rassegnati alla loro disperazione.
Bibliografia
Guilford, J. P. (1967). The nature of human intelligence.
Fodor, J. A. (1985). Precis of the modularity of mind. Behavioral and brain sciences, 8(1), 1-5.
Salovey, P., & Mayer, J. D. (1990). Emotional intelligence. Imagination, cognition and personality, 9(3), 185-211.
Goleman, D. (2011). Intelligenza emotiva. Bur.
Spearman, C. (1961). " General Intelligence" Objectively Determined and Measured.
Sifneos, P. E. (2000). Alexithymia, Clinical Issues, Politics and Cri me1. Psychotherapy and psychosomatics, 69(3), 113-116.
Pace, C. S., Cavanna, D., Guiducci, V., & Bizzi, F. (2015). When parenting fails: alexithymia and attachment states of mind in mothers of female patients with eating disorders. Frontiers in psychology, 6, 1145.
Comments