La musica e l’uomo: due universi in interazione millenaria
- Carmelinda Campilongo
- 14 gen 2020
- Tempo di lettura: 6 min
La musica ha sempre avuto un ruolo di rilievo nella storia dell’uomo: ne troviamo infatti traccia già nella cultura greca con le muse, ma è possibile scorrere a ritroso fino alla nascita dell’homo sapiens e, anzi, ancor prima; è curioso infatti pensare che il goldenfish, il comune pesce rosso, sia in grado di distinguere la musica barocca da quella blues (Chase, 2001), il che porta a ritenere che esistano dei meccanismi coinvolti nella percezione musicale già nei primi vertebrati, risalenti a circa 500 milioni di anni fa. I segnali acustici, oltre che nell’uomo, sono riscontrabili in molte altre specie: pensiamo ad esempio al canto degli uccelli o a quello affascinante delle balene. Questo ci spinge a ritenere possibile un’evoluzione convergente tra le stesse. Fu Darwin a dare per la prima volta un valore adattivo/evolutivo al canto per gli uccelli così come alla musica per l’uomo, associandolo alla selezione sessuale (Darwin, 1871). Alcuni autori hanno approfondito le teorie darwiniane, ad esempio Levi-Strauss ritiene che il canto negli uccelli e la musica nell’uomo non condividano la stessa origine filogenetica, ma potrebbero invece avere la stessa funzione adattiva; mentre altri si sono distanziati dai precetti di Darwin (Tiger, 1992; Rousseau ;1988).

La musica fa dunque parte dell’uomo da centinaia di migliaia di anni, ed è associata al suo percorso evolutivo. Diversi sono ormai gli studi che affermano che già nei bambini sia possibile osservare un certo grado di responsività alla musica (Miller, 2000). L’udito è, infatti, il primo dei cinque sensi a svilupparsi nel feto, il che consentirà al bambino di ascoltare la voce della madre già a partire dal quarto/quinto mese di gestazione, e di riconoscerla alla nascita grazie a quella che viene definita memoria intrauterina. Lo stesso tipo di memoria sarebbe implicata nel riconoscimento di brani ascoltati nella vita prenatale, e riascoltati dopo la nascita: tali brani avrebbero la capacità di tranquillizzare il bambino poiché associati a qualcosa di familiare – una sorta di oggetto transizionale in grado di rendere meno traumatico il passaggio tra i due ambienti, quello intra- e quello extra-uterino. Lo studio della musica favorirebbe inoltre lo sviluppo cerebrale del bambino, soprattutto se intrapreso durante quella che viene definita “finestra sensibile” - dai 6 agli 8 anni - in quanto richiederebbe un certo livello di coordinamento senso-motorio tra le mani e gli stimoli visivo-uditivi (Steele et al., 2013). Uno degli studi “prova del nove” è stato effettuato dalla Concordia University of Montreal: il campione composto da 36 musicisti è stato sottoposto a risonanza durante lo svolgimento di un test motorio; coloro i quali avevano imparato a suonare prima degli 8 anni di età presentavano un numero maggiore di connessioni cerebrali, nonché una presenza più massiccia di materia bianca a costituire il corpo calloso responsabile della connessione tra i due emisferi. È ormai noto, infatti, che suonare modifica la struttura cerebrale; già qualche settimana dopo l’inizio della pratica le aree uditive e motorie si espandono, mentre i due emisferi comunicano maggiormente: la musica è infatti composta dal ritmo e della melodia, processati rispettivamente nell’emisfero sinistro e in quello destro del cervello. Tra gli autori che hanno indagato le conoscenze musicali a livello interdisciplinare troviamo Gordon, che con la sua Music Learning Theory, ha fornito certamente un cospicuo contributo all’interazione tra la musica e il bambino. Degne di nota sono le sue riflessioni a proposito della connessione tra una buona educazione musicale e la comunicazione emotiva. Questo aspetto è stato poi approfondito da Beth Bolton - collaboratrice di Gordon - secondo la quale la musica si costituirebbe come un vero e proprio canale comunicativo, una tipologia di linguaggio che anzi si porrebbe come struttura a sostegno e potenziamento dello stesso. Esiste infatti una forte connessione tra musica e linguaggio: entrambi vennero associati rispettivamente da Schenker e da Chomsky alla capacità di formazione delle rappresentazioni astratte (Sloboda, 1988).
Le cose in comune sono , in effetti, diverse: entrambi sono fenomeni esclusivamente umani, sono probabilmente oggetto di una predisposizione innata all’apprendimento nel bambino, possono dare vita a delle sequenze illimitate, presentano un codice scritto oltre che semantico e così via. Esistono, inoltre, delle sonorità volte a elicitare stati emotivi positivi – come la scala maggiore – e sonorità volte ad esprimere altre tipologie di emozioni (incertezza, dubbio, sospensione, malinconia ecc.).

Sono diversi inoltre gli studi che hanno indagato il dispiegarsi delle dinamiche cerebrali all’ascolto della propria canzone preferita: essa sarebbe associata all’emergere di pensieri e ricordi a prescindere dal genere o dalla presenza o meno di testo nel brano. A sostegno di tale assunto Blood et al. hanno rilevato che l’ascolto della musica influenzerebbe una complessa rete di processi cerebrali come quello senso-motorio, quello implicato nella memoria, nelle emozioni e nella fluttuazione dell’umore (2001). Sembra vi siano, infatti, delle correlazioni tra la musica e la memoria, oltre che l’emotività. I testi cantati risultano, ad esempio, molto più semplici da memorizzare dei non cantati, ancora più semplici se il contenuto del testo risulta, per noi, emotivamente rilevante. La musica sarebbe, inoltre, implicata nella memoria episodica e in quella a lungo termine: pensiamo infatti a quante volte, ascoltando un brano, siamo tornati indietro nel momento del primo approccio significativo con quella melodia. A tal proposito,Wilkins et al. (2014) hanno approfondito le dinamiche cerebrali connesse all’ascolto del brano preferito. Lo studio mostra come, ascoltando la canzone preferita, aumenta la connessione tra le aree uditive del cervello e l’ippocampo, responsabile della memoria e del consolidamento delle emozioni sociali, a sostegno della correlazione tra la musica e l’espressività emotiva. I risultati mostrano inoltre come, durante questo peculiare ascolto, un circuito associato ai pensieri internalizzati -il default mode network- risulti maggiormente connesso al suo interno, a sostegno, questa volta, dell’aumento della concentrazione e delle capacità riflessive rilevate durante l’ascolto. Ascoltare musica è infatti spesso connesso ai pensieri, alle emozioni e quindi è associato alla coscienza e alla teoria della mente – l’abilità di comprendere le intenzioni e gli stati emotivi degli altri (Jackendoff et al., 2010). Non è infatti un caso se esistono diversi studi a sostegno del contributo della musica su pazienti autistici, per i quali uno dei modelli di spiegazione maggiormente gettonati è sicuramente un deficit della teoria della mente. A tal proposito, Livingstone e Thompson propongono una diversa lettura della musica in chiave evoluzionistica, associandola proprio alla Theory of Mind (ToM), intesa come una sorta di trasmissione culturale della conoscenza sostenuta dall’empatia e quindi dai neuroni a specchio. Il modo in cui siamo così intrinsecamente connessi alla musica, le capacità che essa possiede di aumentare la plasticità cerebrale, le reazioni che un brano può suscitare a livello fisico ed emotivo (brividi, lacrime, gioia, ricordi) restano aspetti affascinanti di questa peculiare interazione millenaria, ma, nonostante la letteratura sull’argomento vanti ormai decenni di ricerca, molti restano ancora gli interrogativi senza una risposta certa e univoca.
Approfondimenti - Skoe, E., & Kraus, N. (2012). A little goes a long way: how the adult brain is shaped by musical training in childhood. Journal of Neuroscience, 32(34), 11507-11510.
- Zatorre (2001;2005) musica connessa strutturalmente a funzioni neuronali deputati alla sopravvivenza individuale e della specie (nutrizione e sessualità)
- Scala maggiore: è una sequenza di note connotate da una distanza sempre fissa fra loro. La scala maggiore per eccellenza è quella del Do, che al pianoforte si suona esclusivamente con i tasti bianchi della tastiera, ed è quindi priva di alterazioni (diesis e bemolle)
- A proposito di canzoni che evocano stati umorali specifici: https://www.rollingstone.it/musica/news-musica/uno-studio-ha-stabilito-qual-e-la-canzone-piu-triste-dei-radiohead/352971/
Bibliografia
Blood, A. J. & Zatorre, R. J. Intensely pleasurable responses to music correlate with activity in brain regions implicated in reward and emotion. Proc Natl Acad Sci U S A 98, 11818–11823 (2001) Jackendoff, R. & Lerdahl, F. The capacity for music: what is it and what's special about it? Cognition 100, 33–72 (2006).
Darwin, C. (1871). The descent of man, and selection in relation to sex (2 vols.).
London: John Murray.
Levi-Strauss, C. (1970). The raw and the cooked. London: Cape.
Livingstone, S. R., & Thompson, W. F. (2009). The emergence of music from the Theory of Mind. Musicae Scientiae, 13(2_suppl), 83-115.
Miller, G. F (2000). Evolution of human music through sexual selection. The Origin of Music, MIT Press.
Rousseau, J. J. (1986). Essay on the origin of languages which treats of melody and
musical imitation. In J. H. Moran & A. Gode (Eds.), On the origins of language. U.
Chicago Press, pp. 5-74.
Sloboda J.A., La mente musicale. Psicologia cognitivista della musica. Il Mulino, Bologna, 1988
Steele, C. J., Bailey, J. A., Zatorre, R. J., & Penhune, V. B. (2013). Early musical training and white-matter plasticity in the corpus callosum: evidence for a sensitive period. Journal of Neuroscience, 33(3), 1282-1290.
Tiger, L. (1992). The pursuit of pleasure. London: Little, Brown, & Co.
Tomatis A., La notte uterina, la vita prima della nascita il suo universo sonoro. Red edizioni, Milano, 2009
Wilkins R. W., D. A. Hodges, P. J. Laurienti, M. Steen and J. H. Burdette, Network Science and the Effects of Music Preference on Functional Brain Connectivity: From Beethoven to Eminem, Scientific Reports, 10.1038/srep06130, 4, 1, (2014)
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