Lo Sport nelle Disabilità. Quali benefici?
- Carmelinda Campilongo
- 15 mar 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Sebbene ampiamente diffuso a livello mediatico, il concetto di Sport associato alle disabilità nel quotidiano si scontra spesso con le resistenze che attengono sia al senso di autoefficacia e al livello di autostima delle persone diversamente abili, sia ai timori dei familiari. Questi ultimi, infatti, mossi da dinamiche protettive e nell'ottica di preservare i propri cari da possibili delusioni e frustrazioni, risultano a volte “paralizzati” e “paralizzanti”.
L'introduzione dello Sport nell'ambito delle disabilità presenta profonde radici che affondano nel 1944, quando Ludwing Guttmann, neurologo tedesco, cominciò ad implementare, all'interno dei centri di riabilitazione di deficit motori, corsi specifici sul tema. Di lì a poco, nel 1948, vennero organizzati i primi giochi per atleti che presentavano disabilità, che nel 1960 vennero poi istituzionalizzati con le Paraolimpiadi, tenutesi per la primissima volta proprio a Roma. Parallelamente in Italia, basandosi sulle esperienze di Guttman, Antonio Maglio elaborò dei metodi riabilitativi fondati sullo sport per pazienti neurolesi, accolti poi nel Centro Paraplegici di Ostia (1957). Tali sviluppi hanno in parte sradicato questo storico tabù e, in seguito al crescente interesse nei confronti della sopra citata rimodulazione, si è assistito ad un aumento parallelo delle associazioni sportive per persone diversamente abili, che si coniugano nei diversi settori. Molto interessante, a tal proposito, risulta il nuoto nelle disabilità, così come l’atletica, il basket in carrozzina, l’equitazione, e ancora, il golf, la canoa, le bocce e molto molto altro.

Il mondo dello Sport risulta da sempre connotato da processi tanto di cooperazione, quanto di competizione, la quale non deve però assolutizzarne l’esperienza. Si riportano, a tal proposito, le parole di Alex Zanardi, pilota automobilistico e paraciclista: “ognuno di noi ha un proprio potenziale, possiede un mazzo di carte che il destino ci ha dato in dote e che attraverso l’allenamento e la preparazione migliora; ma quando la gara inizia, quando si gioca, dobbiamo essere consci del fatto che l’obiettivo è fare il nostro meglio, non ottenere il miglior risultato assoluto”

In quest’ottica, la vittoria consiste nel tentativo-senza-riserve, nella convinzione di aver dato quanto fosse possibile dare.
Lo sport rappresenta l’esempio lampante della determinazione nello sfruttare al meglio le proprie capacità residue, ma presenta anche una serie di benefici esperibili a diversi livelli: sul piano cognitivo migliora la conoscenza del proprio corpo, dello spazio, del tempo, e della coordinazione propriocettiva; sul piano fisico aumenta il tono e la forza muscolare (oltre a prevenire condizioni di sovrappeso), la capacità di equilibrio, la coordinazione motoria, e l’abitudine alla fatica - primo ostacolo alla riabilitazione; sul piano psicologico, genera uno stato diffuso di benessere, aumenta il senso di autoefficacia e l’autostima. Moltissimi i benefici sul piano relazionale: lo sport infatti favorisce i processi di socializzazione (sia tra pari, che, eventualmente, con l’adulto di riferimento - ossia l’allenatore), di aggregazione e di integrazione; educa al rispetto delle regole; consente la sperimentazione di una vasta gamma di emozioni e di sentimenti, oltre a favorire la gestione di eventuali conflitti relazionali.
Da non sottovalutare, inoltre, i benefici “a cascata” che praticare uno sport comporta per una persona diversamente abile: attraverso questa esperienza, ad esempio, si riscontra uno sviluppo parallelo nell'area delle autonomie, come farsi la doccia, vestirsi, allacciarsi le scarpe, ricordare i giorni e gli orari dell’allenamento.
Una nota di merito va sicuramente destinata agli sport di squadra, i quali, per struttura, pongono i membri del team in una condizione di interdipendenza positiva: in altre parole, ogni membro del gruppo dipende dal suo compagno e allo stesso tempo costituisce, per lui, una risorsa. Essere parte di una squadra - e dunque di un gruppo - per una persona diversamente abile implica una dimensione di riconoscimento e di accettazione: all’interno di un team il senso di appartenenza fa da sfondo a dinamiche di aiuto e sostegno reciproco per il raggiungimento di un obiettivo comune. Il soggetto disabile percepisce come indispensabili l’aiuto dei compagni e dell’allenatore, uscendo così da una dimensione “autoriferita”, il che favorisce i processi di socializzazione e di integrazione nella comunità.
Insomma, praticare uno sport per una persona diversamente abile presenta una serie di vantaggi che impattano positivamente sui vissuti, nonché sulla qualità generale della loro vita. Il concetto di disabilità si fonda a partire dallo sguardo e dall'atteggiamento con cui noi tutti ci approcciamo a questa dimensione - compresi i familiari, che rappresentano il primo nucleo significativo, quello entro cui le persone con questa condizione imparano a capire chi sono e come relazionarsi alla stessa.
Questo concetto è meglio riassunto dalle parole di Chris Bradford:
“Disabilità non significa inabilità. Significa semplicemente adattabilità.”
Ne deriva che, se volgiamo lo sguardo alle risorse che queste persone hanno invece che ai limiti, ne usciremo tutti vincitori e impreziositi.
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