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Psico-lettura di Stranger Things: oltre il Sottosopra.

  • Immagine del redattore: Carmelinda Campilongo
    Carmelinda Campilongo
  • 10 feb 2020
  • Tempo di lettura: 8 min

Stranger Things è sicuramente fra le serie più seguite e amate di questi ultimi anni: tra viaggi inter-dimensionali nel Sottosopra, Mind Flayer, Demogorgoni appartenenti a mondi paralleli, e contestualizzato nel pieno degli anni ’80 questa serie costringe lo spettatore incollato allo schermo per ore – target prediletto sono i cosiddetti millenial, sedotti da sonorità e scenari appartenenti alla propria infanzia/adolescenza, immersi in contenuti dall'immediata riconoscibilità e dal facile rispecchiamento. Si propone qui una lettura psicologica di alcuni aspetti della serie secondo un’ottica del tutto a-critica: lo scopo infatti non è tanto definire “come sarebbe dovuto essere”, quanto offrire alcuni spunti di conoscenza psicologica a partire da contenuti di estrema diffusione, dunque ben integrati nella quotidianità.

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Protagonisti un gruppo di ragazzini nerd che, per salvare il piccolo Will sparito inspiegabilmente nel nulla, si cimenteranno molto coraggiosamente in una serie di imprese, spalleggiati dal fortuito incontro di una ragazzina dalle doti misteriosamente strabilianti: Undici.

Undi – così viene teneramente soprannominata da Mike – è un numero perché figlia di un esperimento, come anche sua madre che prima di lei era stata sottoposta a ripetute somministrazioni di sostanze allucinogene. Studi recenti sull’LSD mostrano che durante l’assunzione di questo potente psichedelico la connettività tra diverse regioni del cervello risulterebbe alterata secondo modalità non prevedibili, così come lo stato di coscienza (Preller et al. 2019). La ricerca in questo ambito procede a rilento a causa dei limiti dell'etica.

In seguito alla gravidanza - dicevamo -, Undici sarà sottratta con l’inganno a sua madre - la quale verrà invece indotta a credere di aver subito un aborto - e adottata dal prof. Brenner a capo della sperimentazione segreta nel laboratorio di Hawkins. Dalle immagini si intuisce che la ragazzina viva in condizioni di alta deprivazione sensoriale in una piccola stanza munita di un letto, il che sembra non influire sul suo stato di percezione, protagonista (la percezione) di alcune ricerche basate su esperimenti di deprivazione sensoriale su soggetti in situazioni di isolamento come le carceri, i sottomarini e le navicelle spaziali (Bonaiuto et al.,1965).

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Dalle osservazioni emerse come i soggetti in stato di isolamento tendessero a sviluppare uno stile cognitivo estremamente analitico e frammentato così da arricchire artificialmente l’ambiente circostante. Questo li rendeva meno suscettibili agli effetti di campo inducendoli a sviluppare allucinazioni visive (maggiori dettagli in approfondimenti).

Niente di tutto questo risulta riconoscibile nell'atteggiamento di Undici, la quale sembra però subire in parte le conseguenze connesse al legame con la figura di riferimento: il dottor Brenner non si presenta infatti come una “base sicura”, tanto meno, date le condizioni in cui (soprav-)vive Undici, si potrebbe considerare attento agli aspetti emotivi e di interazione, il che porterebbe a ritenere che gli scambi interattivi primari siano stati carenti durante tutta l’infanzia della bambina.

Dobbiamo pensare al neonato come visceralmente spinto all’interazione. Prendiamo ad esempio le osservazioni di Renè A. Spitz (1957) in alcuni orfanotrofi che ospitavano bambini e neonati nel dopoguerra. In questi luoghi venivano per così dire soddisfatti i bisogni primari dei piccoli che risultavano, però, privi di figure di riferimento e dunque in stato di grave carenza affettiva: se presi in braccio non interagivano e gradualmente rallentavano i propri movimenti, in alcuni casi fino a lasciarsi morire. Tale studio ben si presta ad una riflessione sull'importanza di stabilire legami affettivi precoci: un’esigenza, appunto, “vitale”.

Secondo recenti studi a carico dell'Infant Research (Stern, 1985) i primissimi scambi con la figura di riferimento risulterebbero fondamentali ai fini di un adeguato sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale. Zommando ulteriormente sulla relazione ai primi stadi, si potrebbe semplificare asserendo che una comunicazione ottimale sarebbe quella costituita da una sintonizzazione non perfetta tra bambino e caregiver (che invece ne ostacolerebbe il successivo processo di individuazione), ma da una sintonizzazione caratterizzata da rotture seguite da tentativi di riparazione, così da trasmettere al bambino l’idea di una relazione che può andare incontro al fallimento, a patto che venga in seguito “riparato”.

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La nostra Undici è probabilmente stata spettatrice attiva di numerosi fallimenti interazionali fin dai primi istanti di vita; inoltre la natura del rapporto con il dott. Brenner, costellata da diverse forme di maltrattamento fisico ed emotivo, potrebbe essersi prestata alla costruzione di uno stile di attaccamento disorientato-disorganizzato (Lyons-Ruth & Jacobvitz, 1999), proprio di tutte quelle situazioni in cui la figura che dovrebbe offrire sicurezza e accudimento è la stessa che incute terrore. Tali schemi di interazione distruttivi, proprio perché fondati a partire dalla relazione con una figura significativa, vengono interiorizzati dal bambino a livelli molto profondi e fatti propri, aumentando così il rischio che anch'essi ricorrano alla violenza: pensate alle numerose situazioni in cui Undi scaraventa via con la mente alcuni personaggi in preda a scatti d’ira improvvisi e impetuosi, come successo ad esempio con Lucas nella prima stagione, o ancora nella seconda, quando Hopper, per tenerla al sicuro, la forza in casa ponendole numerosi divieti.

Undici a questo punto ha subito l’abbandono primario della madre alla quale è stata sottratta, quello del padre - seppur ne riconosca la malvagità- e infine l’allontanamento forzato da Mike. Gli scatti di ira in età evolutiva/pre-adolescenziale possono essere ricondotti ad una serie di elementi, primo fra tutti gli stati depressivi: non essendo ancora in grado di pensare, elaborare e di verbalizzare le emozioni il bambino può esprimerle attraverso la rabbia. In secondo luogo sarebbe da considerare lo stile educativo nonché i modelli a cui è stato sottoposto: se i genitori, cioè, hanno adottato uno stile rigido e autoritario, sottoponendo il bambino anche a punizioni fisiche, oppure si siano proposti come modello aggressivo e violento nelle interazioni, è più probabile che egli utilizzi meccanismi relazionali che rispondano a tali caratteristiche.

Le vicissitudini che si susseguono nel corso delle stagioni, a carattere fortemente traumatico, avrebbero inoltre potuto comportare con estrema probabilità, e nella migliore delle ipotesi, la comparsa di un disturbo post traumatico da stress (DPTS) nella quasi totalità dei protagonisti alle prese con la morte: primo fra tutti il piccolo Will, rimasto prigioniero per un numero non ben specificato di giorni nel sottosopra, in perenne fuga dal Demogorgone.

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In seguito al suo salvataggio, il bambino non mostra quasi affatto le conseguenze psicologiche attese in relazione al rapimento: respira a pieni polmoni la ritrovata quotidianità quando gioca con i suoi amici a Dungeons & Dragons, un gioco di ruolo fantasy attraverso il quale avrebbe potuto rivivere costantemente il trauma del rapimento, ma le uniche “ricadute” nel Sottosopra sembrano essere correlate esclusivamente alla presenza di quel mostruoso ospite che lo possiede.

Nella prima stagione anche Nancy, in seguito alla scomparsa della sua migliore amica, si trova ad avere un incontro ravvicinato con il Demogorgone nel sottosopra, ma questo, sebbene in un primo momento abbia generato paura e smarrimento, si traduce subito dopo in una spinta verso il problem-solving passando per la resilienza: lei e Jonathan infatti penseranno subito ad un modo per catturare il mostro e ucciderlo, munendosi di trappole e stratagemmi per incastrarlo.

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In effetti si potrebbe quasi a tratti ipotizzare che i ragazzi si trovino in uno stato di dissociazione. Nel DPTS la dissociazione viene spesso utilizzata come prima difesa nei confronti dell’evento traumatico: l’esperienza viene così ad essere compartimentalizzata in stati della coscienza (e della memoria) separati. Questo, connesso ad ulteriori aspetti di gravità dell’evento, a caratteristiche contestuali e temperamentali si pone come precursore per l’insorgenza di successive manifestazioni psicopatologiche, come ad es. il disturbo dissociativo dell’identità (DSM 5, 2014) più conosciuto come disturbo da personalità multipla (DSM IV-TR), in cui alcuni aspetti dell’esperienza traumatica vengono ripartiti in diversi stati dell’Io, tanto da costituire delle vere e proprie identità a sé stanti.

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La presenza di Hopper, così come la successiva adozione, si pone però come un asterisco positivo nelle pagine grigie della piccola Undi, che finalmente può fare affidamento su una figura di riferimento degna della sua fiducia e in grado di amarla.

Stranger Things sostanzialmente emoziona: per quella madre che, a costo di sembrar matta, si serve di uno strambo e luminoso stratagemma per comunicare con un figlio che non si vede, che non esiste secondo le leggi del nostro mondo, ma che lei continua a sentire,


con cui continua a mantenersi sintonizzata;

per gli amici, che non smetteranno mai di battersi per affermare la sua vita, superando numerose prove che ne suggellano volta per volta l'amicizia.

Soprattutto, Stranger Things ipotizza un mondo parallelo, il sottosopra, come un alter Ego della nostra dimensione inospitale per gli esseri umani, che poi si scopre miscelato al nostro mondo, in fase di integrazione.

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Di più di immediata intuizione è sicuramente il parallelismo con la straziante situazione ambientale di cui è responsabile l’Uomo – Freud parlerebbe di thanatos, la tendenza alla distruzione insita in ognuno di noi che si oppone all'eros (principio del piacere e principio di realtà) – impegnato a “mettere sottosopra”, a stravolgere le regole di cui La Natura si serve da miliardi di anni per rendere la nostra Terra ospitale alla vita.

In secondo luogo si potrebbe dire che le scoperte scientifiche da sempre hanno influenzato la produzione artistica e cinematografica, e che l’esistenza di mondi paralleli, ipotizzata solo a livello teorico dai progressi della fisica quantistica, viene rappresentata scenograficamente ormai da alcuni decenni, così come i viaggi nel tempo.

Un’ultima osservazione ha a che fare con la natura dell’uomo, che storicamente si trova a vivere un’angoscia invasiva: a capo del Sottosopra il Mind Flayer, un organismo pensante in grado di prendere il controllo delle menti: qui l'uomo si trova ad essere spogliato della profondità del suo intimo, delle proprie capacità cognitive e decisionali, nonché delle sue risorse emozionali, nei fatti de-umanizzato. L'angoscia di fondo è quella di essere aggrediti e “violentati” nella propria natura dall'ignoto, dal dubbio dell’incertezza, dal diverso; angoscia che porta alla domanda fondamentale:

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Siamo soli nell'Universo?


Questa domanda attanaglia l’uomo da sempre, tanto da proporsi come oggetto di una vasta filmografia fondata su invasioni aliene degenerative: pochi sono i film che hanno considerato la presenza di altre forme di vita benevole, pacifiche: tra tutti ricorderete sicuramente ET l'Extraterrestre – meno diffusa è la serie inglese Doctor Who.


Quest’ultimo dato porta ad una riflessione drammaticamente attuale: la paura dell'ignoto, del non riconoscibile, del diverso, dell’omosessuale, dell'immigrato. Attenzione, questa riflessione non si pone da link diretto tra questa serie e l'ondata xenofoba che sta investendo il nostro paese, così come diverse zone del mondo. In altre parole, non è intenzione di chi scrive proporre che Stranger Things altro non sia che il prodotto sceneggiato delle sopracitate correnti razziste, quanto piuttosto la rappresentazione scenica di angosce intime, profonde, portatrici di un potenziale di traduzione sublimato in prodotto artistico - come in questo caso - o di distruzione e odio, come avviene per il razzismo.





Approfondimenti: - Bonaiuto parla di “effetto di campo” distinguendone due fondamentali: l'assimilazione e il contrasto. Quando si verifica il primo, si ha una tendenza al livellamento delle differenze qualitative tra le varie parti del campo; si parla invece di contrasto quando tali differenze vengono messe in risalto.



Bibliografia

-Andreoli V., Cassano G. B., Rossi R. (1997) DSM-IV-TR Manuale diagnostico e statistico dei Disturbi Mentali. Masson

-Biondi, M. (2014) Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Raffaello Cortina Editore.

-Bonaiuto, Umiltà, Canestrari 1965; Bonaiuto 1969

-Lyons-Ruth, K., & Jacobvitz, D. (1999). “Attachment disorganization. Unresolved loss, relational violence, and lapses in behavioral and attentional strategies”. In J. Cassidy & P.R. Shaver(Eds.), Handbook of attachment: Theory, research, and clinical applications, (pp. 520-554). New York: Guilford Press. Tr. It. Manuale dell’attaccamento. Fioriti, Roma, 2002

-Spitz R. A. (1957) Ospitalismo: inchiesta sulla genesi di condizioni psicopatologiche nella prima infanzia. Rivista di Psicoanalisi, 3(3):167-187

-Stern, D. (1985). The interpersonal world of the infant. New York: Basic Books. -Preller, K. H., Razi, A., Zeidman, P., Stämpfli, P., Friston, K. J., & Vollenweider, F. X. (2019). Effective connectivity changes in LSD-induced altered states of consciousness in humans. Proceedings of the National Academy of Sciences, 116(7), 2743-2748.

 
 
 

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